Il Governo Gentiloni, alle prese con la quadratura dei conti a seguito della richiesta da parte dell’Unione Europea di una manovra finanziaria correttiva, ha introdotto per decreto legge la tassazione dei cani domestici, provvedimento destinato sicuramente a far molto discutere.

Infatti la nuova tassa viene giustificata non con il fatto che il Governo non sa più dove andare a trovare i soldi, ma con la motivazione che essa rappresenti l’indennizzo alla Comunità per l’inquinamento di cui, a dire del Ministro dell’ambiente, sarebbero responsabili i cani, con esplicito riferimento all’abitudine che questi animali hanno, cioè quella di defecare in strade e giardini pubblici.

Un forte elemento  a supporto della decisione adottata dal Governo  è la prossima adozione in ambito comunitario del cosiddetto “pet passport” (già in uso nei paesi anglosassoni), documento che si rende necessario per consentire una “adeguata identificazione”  degli animali domestici al seguito di cittadini che si recano all’estero e per il loro transito negli aeroporti dell’Unione Europea.

La tassa sui cani è già in uso in tanti altri paesi, ma viene in genere computata in misura fissa. La nuova ICD (imposta sui cani domestici) italiana invece dipenderà da più fattori: la taglia dell’animale (cioè il suo peso) e – elemento di novità assoluta –  dal cosiddetto “coefficiente di inquinamento relativo” (CDIR).

Questo coefficiente dipende dalla razza e potrebbe far lievitare  – e  non di poco – l’importo dell’imposta, sono infatti previsti ben 5 scaglioni (cui corrispondono dei coefficienti moltiplicativi da un minimo di 0.5 fino ad un massimo di 1.8), correlati al “quantitativo ed al potere inquinante degli escrementi mediamente evacuati”, parametri che – dicono al CRN – dipendono in buona misura appunto anche dalla razza canina (oltre che dalla stazza).

 

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