L’elevato prezzo dei farmaci veterinari è legato non solo alle dinamiche di mercato, ma anche all’attuale normativa che impedisce ai medici veterinari la libertà di prescrizione del medicinale più efficace nella cura del proprio paziente e meno oneroso per il suo proprietario. Il Sindacato dei Veterinari Liberi Professionisti (SIVeLP) da tempo chiede che l’Italia spieghi la peculiarità della vendita dei prodotti veterinari sul nostro territorio nazionale rispetto alla situazione del sistema degli altri Paesi europei.
Angelo Troi, segretario nazionale del SIVeLP, perché il “meccanismo a cascata” viene utilizzato in Europa?
«Perché negli altri Paesi europei la vendita del farmaco viene data in mano al veterinario. Se andiamo in una clinica francese per animali troveremo il veterinario che lo visita e lo cura, l’infermiera che lo segue e la vendita dei prodotti farmaceutici all’interno della struttura. Data questa situazione, è normale che nel resto d’Europa i veterinari debbano distinguere fra i farmaci umani e quelli veterinari. Se così non fosse, dovendo vendere i medicinali, il veterinario si troverebbe a dover tenere una gamma di prodotti troppo vasta.
In Italia invece la vendita di medicinali è riservata alle farmacie. Queste strutture vedono lo Stato in posizione debitoria nei loro confronti perché anticipano i farmaci a uso umano che passano al cliente dietro ricetta. Data questa situazione, diversa da quella di altri paesi europei, è normale che le farmacie sostengano che la vendita dei farmaci veterinari debba passare da loro. E come tale è anche normale che il medico veterinario e il medico di medicina umana che lavorano nel loro ambulatorio non siano tenuti a dare il farmaco al cliente».
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