Dieci giorni di cani e gatti cucinati al vapore per essere mangiati in Cina al “festival di Yulin”. Inutile scriverlo in maniera diversa: le cose stanno così. E per arrivare a essere il cibo per cui si svolge questo evento, gli animali prima di diventare un piatto attraversano un percorso di soprusi e violenze. Una manifestazione che dal 2009 va avanti secondo una “tradizione” che viene puntualmente smentita dalle autorità cinesi e sminuita come un “fenomeno locale non autorizzato”. Ma i cani e i gatti che vengono uccisi per essere poi appunto destinati ai banchetti per le strade di questa cittadina nel sud del paese, ancora di più per questa tolleranza e assenza di controllo, arrivano da traffici clandestini in cui gli animali al di là della loro fine vengono brutalmente catturati e segregati.

Il modo più corretto per raccontare cosa accade ogni 21 giugno da nove anni, però, al di là di quanto puntualmente compare in Rete su articoli dedicati e sui Social network, è quello di porre le domande a chi sta combattendo da cinque anni una battaglia proprio sul territorio e lo fa partendo dall’Italia.

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