Condividereste un cane, un essere vivente, come si fa con un’auto? È l’ultima trovata della sharing economy. Si chiama “dog sharing”, ed è il più grande egoismo. “Vorresti un cane ma temi le responsabilità, il tempo e i soldi da dedicargli?”, recita un gruppo su Facebook. “Prendilo in condivisione”. Come fosse una cosa. «Si fanno già un sacco di condivisioni – l’auto, il lavoro la casa», spiega una nutrizionista di Detroit che da un anno e mezzo pratica il dog sharing, che negli Stati Uniti spopola anche come business, «perché non farlo con gli animali?»
Già, perché? Non stiamo parlando della sorte degli animali in un divorzio, dove spesso se ne condivide la cura per non far patire all’animale il distacco da una persona cara. Né di dog sitting, sebbene l’idea venga da lì. Né di prendersi cura con amici di un cane abbandonato dividendo le spese veterinarie. Nel dog sharing, il cane viene sballottato tra varie famiglie, e ognuno paga solo la sua parte. Lo fanno famiglie che hanno già un cane, mettendolo in condivisione con altre, secondo un calendario stabilito, per recuperare alcune spese e il tempo per dedicarsi ad altro.
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