Il gatto più celebre della fisica è il gatto di Schrödinger, quello che è vivo e morto allo stesso tempo all’interno della scatola – e che fu «sfruttato» dallo studioso austriaco per esemplificare i risultati, apparentemente paradossali, della meccanica quantistica.
In realtà il gatto non subì, in quel caso, alcuna conseguenza fisica (nel senso di corporea) dai lavori di Schrödinger, ma ad altri suoi simili è andata meno liscia. Si racconta che, quando era a Leida, Cartesio avesse lanciato un felino dalla finestra per scoprire se avesse paura e, quindi, anche un’anima (qui non si discute delle idee cartesiane, bensì solo delle vicende scientifiche dei gatti…); al Trinity College di Cambridge, nella metà dell’Ottocento, si diceva che James Clerk Maxwell fosse «solito scagliare gatti dalla finestra», una leggenda che dava così fastidio al fisico scozzese che, in una lettera alla moglie Katherine, volle precisare il vero oggetto della sua ricerca, ovvero «scoprire a che velocità ruota un gatto» e, per fare ciò, non era necessario gettarlo brutalmente dalla finestra: gli bastava «far cadere il gatto su un tavolo o un letto da circa cinque centimetri». Quello che conta, a questo punto, è il risultato: e il risultato è che «anche così il gatto atterra in piedi».
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