Il ritrovamento nel porto romano di Berenice, in Egitto sul Mar Rosso, di un cimitero con sepolti 585 animali domestici, ha un valore etico-sociologico, oltre che archeologico. A dispetto delle teorie razionaliste che individuano amore e cura contemporanei di cani e gatti come una nevrosi frutto dell’alienazione della società moderna per sfuggire alla solitudine o per rimpiazzare l’assenza di figli, gli scavi egiziani portano alla luce il rapporto tra uomini e animali 2000 anni fa: testimoniano che il sentimento che proviamo oggi per Fido era già presente tra gli antichi Egizi. D’altronde la religione del Paese dei faraoni, fin dal 3000 avanti Cristo, contemplava il culto di Anubi, il dio cane, divinità preposta alla protezione di mummificazione, necropoli e aldilà dei morti. Anubi era raffigurato da un uomo con testa di sciacallo, un canide lupino. E quello di Bastet, la dea gatto, divinità felina della stessa epoca. I gatti, mau in antica lingua egizia, erano considerati sacri e la loro addomesticazione è fatta risalire al 8000 avanti Cristo in Mesopotamia.
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