Da sempre i cani sono i migliori amici dell’uomo, ma dalle parti di Chatillon-sur-Chalaronne (dove qualche giorno fa è partita una tappa delTour) hanno un tantino esagerato. E pensare che questa storia (vera) nasce con un episodio tragico (leggenda) – scrive Francesco Ceniti sulla Gazzetta dello Sport -. C’era una volta un levriero di nome Guinefort, faceva bene il suo “mestiere”: guardiano del castello dove viveva un cavaliere e la sua famiglia. Tutte le attenzioni erano per il figlio, nato da pochi mesi. Ma un giorno il nobile trovò la stanza dell’infante messa a soqquadro, la culla rovesciata. Il cane aveva la bocca sporca di sangue, del bimbo nessuna traccia. Il cavaliere impazzì dal dolore. Così sguainò la spada e uccise Guinefort. Subito dopo udì un pianto: sotto la culla c’era il neonato, illeso, e a fianco una vipera morta. Il levriero aveva protetto e salvato il figlio del cavaliere.
Pentito del gesto, seppellì il cane in una tomba speciale. La voce si sparse nei borghi vicini e nel luogo del martirio iniziò un pellegrinaggio. Si susseguirono dei “miracoli”, con altri ragazzi salvati da Guinefort. Il culto divenne talmente “famoso” che nel XIII secolo il Vaticano mandò un inquisitore e predicatore domenicano a controllare. Si trattava di Stefano di Borbone: rimase inorridito quando scoprì che il santo sconosciuto era un cane. Non solo, la gente del posto immergeva i bambini malati nel fiume chiedendo al levriero di “sostituirli” con dei sani. Una sorta di rito pagano, imitazione sacrilega del battesimo. Il domenicano sentenziò: rito diabolico. Fece diseppellire il cane e bruciare le ossa, poi vietò qualsiasi rito. Durò qualche anno, ma la voglia di “miracoli” riprese più forte di prima, fino al secolo scorso. E il culto del levriero emigrò pure in Italia: in Lombardia (specie nel Pavese) ci sono chiese dedicate a San Guineforte, protettore dei bambini.