Nel 1996, a Edimburgo, l’annuncio della clonazione della pecora Dolly colse di sorpresa tutta la comunità scientifica mondiale, rappresentando un punto di svolta nella ricerca medica internazionale, poiché fu evidente che tale processo di ingegneria biologica avrebbe potuto aprire scenari mai visti e potenzialmente apocalittici per la possibilità concreta di trovare applicazione anche sull’essere umano. In realtà la clonazione è un fenomeno riproduttivo già presente in natura, come nel caso dei gemelli monozigoti, ovvero individui con un patrimonio genetico identico, e quindi considerati cloni uno dell’altro, ma concepiti e nati naturalmente, mentre nessuno scienziato al mondo fino alla nascita di Dolly aveva provato a sfidare Madre Natura in modo così innaturale e spregiudicato.
La clonazione artificiale infatti è una procedura con cui, partendo da un originale, si riproducono una o più copie identiche dello stesso, con le stesse caratteristiche genetiche. Il metodo consiste nel trasferire in un ovocita (l’ovulo femminile che nella riproduzione sessuata viene fecondato da uno spermatozoo per dare inizio allo sviluppo di un embrione con patrimonio genetico di entrambi i genitori) prelevato dalle ovaie della madre e privato del suo nucleo (che contiene il materiale genetico della stessa) e sostituito con il nucleo di una cellula somatica di un altro essere vivente, a sua volta prelevato da una parte del corpo, in genere la pelle, per poi impiantare il tutto nell’utero materno o surrogato, ed attendere la nascita di un essere assolutamente identico a quello del nucleo che lo ha generato. Tale processo potrebbe essere ripetuto innumerevoli volte, facendo nascere copie di individui indistinguibili uno dall’altro.
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